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Creatività e integrazione. Il Kamishibai a scuola

Pubblicato il: 30/09/2011 15:19:29 -


“Kamishibai” è una parola giapponese che significa ‘teatro di carta’, uno strumento che usavano i cantastorie giapponesi negli anni Venti. L’artista si spostava con la sua bicicletta di città in città portando una cassetta di legno simile a una grande valigia, un teatro in miniatura. Suonava e nelle piazzette arrivavano i bambini.
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All’Istituto superiore Gandhi di Narni è attivo da alcuni anni un laboratorio integrato in cui si pratica una sperimentazione didattica che coinvolge numerose attività creative ed espressive, quali la pittura, la costruzione di storie, la psicomotricità, il laboratorio sulle emozioni. Il laboratorio nasce da una cooperazione a livello territoriale tra il SIM infanzia di Narni (TR), la cooperativa sociale C.I.P.P.S e la scuola e si pone come luogo in cui tutti i protagonisti sono coinvolti in un processo di integrazione proprio perché vi partecipano in maniera attiva, nella convinzione che un primo passo per l’integrazione sia proprio il fare insieme. Nell’anno scolastico 2010-2011 è stato attivato il progetto Kamishibai poiché l’obiettivo del laboratorio era quello di puntare sulla narrazione come strumento di integrazione tra persone e tra saperi apparentemente lontani. Abbiamo chiesto a David, Ivo e Cristina (operatori CIPPS) e alla prof.ssa Giorgini (docente di sostegno), cioè a coloro che sono coinvolti in prima persona, di raccontarci l’esperienza e di fornirci una sorta di valutazione sui risultati raggiunti.

Che cos’è il Kamishibai?

È una parola giapponese che significa teatro di carta, uno strumento che usavano i cantastorie giapponesi negli anni Venti. Veniva utilizzato per raccontare storie, fatti di cronaca ma anche per fini didattici e politici per convincere i ragazzi giapponesi ad arruolarsi nell’esercito, durante la seconda guerra mondiale. Come tecnica è particolare perché i racconti venivano portati nelle strade. L’artista si spostava con la sua bicicletta di città in città portando sul portapacchi il Butai, una cassetta di legno simile a una grande valigia, un teatro in miniatura con una scena e delle ante che si aprivano lateralmente: il cantastorie suonava e nelle piazzette arrivavano i bambini. Dalle illustrazioni del kamishibai trae origine il manga giapponese.

Da dove nasce l’idea di proporre il progetto Kamishibai all’interno del laboratorio di animazione integrata dell’istituto Gandhi di Narni?

In qualità di operatori sociali abbiamo partecipato ad alcuni percorsi formativi e all’interno di uno di questi abbiamo conosciuto il Kamishibai come strumento che può avvicinare i bambini al piacere della lettura, per questo è molto usato nelle biblioteche. Il kamishibai implica un processo circolare, dal libro si passa alla rielaborazione come momento corale, alla rappresentazione in immagini e da qui si ripassa al testo, tenendo conto di tutto ciò che è emerso nelle differenti fasi. Al termine della scuola ci siamo lasciati con il pensiero che il prossimo anno scolastico avremmo lavorato sull’integrazione a più livelli: tra docenti, operatori, tra classi diverse e non solo rispetto ai ragazzi disabili. Con la prof.ssa Giorgini abbiamo individuato nella narrazione il focus su cui basare l’integrazione. Quindi il Kamishibai, partendo dal racconto di storie con immagini, rappresentava un ottimo strumento di lavoro.

Nella pratica, come avete operato?

Inizialmente i docenti coinvolti e gli operatori si sono occupati dell’organizzazione dei gruppi di partecipanti. Il kamishibai riguardava infatti alcune classi dell’istituto che, divise in gruppi, partecipavano a turno al laboratorio, per un determinato periodo di tempo. Il primo passo è stato la costruzione del Butai o teatrino in miniatura. Successivamente si è iniziato a operare con i testi veri e propri e con il collage. Il nostro obiettivo era quello di far diventare la lettura un gioco e il libro uno strumento da manipolare, da scomporre e ricomporre.

Oltre alla narrazione, quali sono le forme espressive che avete privilegiato?

Collage e pittura. La narrazione è conclusiva. Per scomporre e ricomporre abbiamo scelto la tecnica del collage perché lascia molto spazio alla persona, non ci sono regole e tutti possono creare senza l’ansia del prodotto finale. Il collage ha lo scopo di destrutturare al massimo le azioni e lo strappo della carta va in controtendenza rispetto alle regole “istituzionali” della scuola. Strappare la carta non ha bisogno di regole, anzi si può dire che funziona meglio quanto più l’azione è irregolare e imprecisa, presentandosi così come un primo passo per far esprimere la propria individualità. Siccome l’obiettivo è quello di inserire il tutto in un quadro culturale d’insieme, l’esperienza del collage è stata accompagnata dall’incontro con l’esperienza di un grande artista come Matisse.

Come avete conciliato un obiettivo trasversale come l’integrazione con obiettivi più specifici riguardanti l’apprendimento e quindi le discipline?

Il punto di incontro è stato la scelta di alcune macro aree all’interno delle quali scegliere i testi da leggere, scomporre e ricomporre trasformandoli in nuove storie. Le aree tematiche selezionate dai docenti e operatori sono state sia di carattere trasversale come le emozioni, la libertà, i valori universali dell’uomo e l’accoglienza, sia legate in modo più diretto alle discipline, come alcune tematiche storiche, scientifiche e filosofiche. La scelta delle singole storie è stata fatta insieme ai ragazzi.

Quali sono i vantaggi che il progetto Kamishibai può portare alla scuola?

Il progetto in questione offre possibilità che i percorsi curricolari non permettono per l’utilizzo di linguaggi e strumenti diversi. I punti di contatto con le discipline ci sono, ma le modalità di apprendimento sono molto diverse da quelle messe in atto nella consueta pratica didattica. Abbiamo constatato che presentare un argomento di carattere curricolare sotto forma di teatro di carta ha generato un coinvolgimento emotivo e un approccio alle conoscenze differente. Inoltre, la socializzazione come base per lo sviluppo comunicativo è uno delle costanti del laboratorio integrato dell’Istituto Gandhi.

Quali sono state le reazioni dei veri protagonisti, i ragazzi?

Come avrete notato abbiamo sempre parlato di ragazzi in senso ampio, senza distinguere tra disabili e non. Questo perché gli obiettivi educativi del progetto Kamishibai sono adatti per tutti, anche se il laboratorio di animazione integrata nasce in particolare come luogo dedicato ai ragazzi con differenti problematiche, da quelle relazionali e comunicative a quelle più strettamente cognitive. Fatta questa premessa, siamo molto soddisfatti delle reazioni dei protagonisti, abbiamo osservato dinamiche relazionali molto diverse da quelle che vengono messe in atto nella classe ma anche momenti di comunicazione più liberi e appassionati. La dimensione della scoperta dell’altro e delle sue caratteristiche è ciò che ha sorpreso maggiormente i ragazzi.

Avete ipotizzato una documentazione in itinere dei processi rilevabili durante il laboratorio?

A parte la scheda tecnica del progetto, che riguarda più gli aspetti burocratici, abbiamo documentato varie fasi del laboratorio con video. L’idea sarebbe quella di coinvolgere l’intero istituto nella visione di un filmato montato ad hoc all’inizio del prossimo anno scolastico e non alla fine, come generalmente si è fatto in passato. Non nascondiamo che questa fase rappresenta un elemento critico sul quale c’è ancora molto lavoro da fare.

Un’ultima domanda che riguarda i costi, visto che le scuole sono, purtroppo, sempre più bloccate dalla carenza di risorse: è un progetto costoso il kamishibai? È un progetto economico, si può fare. I materiali non sono costosi compreso il legno per il teatrino. Ovviamente occorre uno spazio apposito e questo potrebbe essere un problema che alcune istituzioni scolastiche si troverebbero davanti.

Francesca Calzolai

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